Il cumino è originario dell’Oriente, ma già molti anni prima di Cristo veniva coltivato nelle regioni mediterranee: si racconta che i romani lo adoperassero al posto del pepe, talvolta tritandolo e trasformandolo in una pasta che spalmavano sul pane.
In cucina questa spezia è sempre stata usata, ma nei tempi antichi era adibita quasi esclusivamente a usi medicinali: è piuttosto curioso il fatto che venisse usata in quanto capace di conferire un colorito pallido a chi l’avesse assunta. Secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio, l’olio ricavato dal seme di cumino veniva usato dagli studenti di allora per far credere agli insegnanti che studiavano più di quanto facessero in realtà.
Il seme ha un aroma piccante e profumato ed è molto popolare in Oriente, nell’Africa del nord e in Messico.
In Olanda e nei paesi orientale è impiegato per aromatizzare il formaggio; in Germania lo si usa per condire alcuni tipi di pane e nei paesi arabi viene utilizzato per insaporire il cous cous.
Nella cucina europea viene adoperato perlopiù nelle salamoie, nei sottaceti e anche nei crauti, mentre quasi mai in piatti dolci.
Sono abitudini alimentari queste molto positive, poiché il cumino è un eccellente stomachico che, eliminando i gas putridi, contribuisce all’igiene delle vie digerenti: è inoltre diuretico ed emmenagogo, ossia facilita il normale flusso delle mestruazioni.
Indipendentemente dal suo uso gastronomico, se ne possono fare dei salutari infusi, nella dose di un cucchiaino di caffè per tazza. Si possono anche utilizzare i semi come uso esterno, facendo dei cataplasmi da applicare nelle mammelle in caso di occlusione delle ghiandole.
Per chi ama i curry, o altri piatti orientali e messicani (o comunque speziati), il cumino e senz’ombra di dubbio essenziale: esso tende a dominare in qualsiasi piatto in cui sia introdotto e proprio per questo i cuochi indiani affermano sempre che agli europei non piaccia molto.
In vari libri di cucina si crea talvolta una certa confusione a causa dell’errata traduzione della parola indiana jeera, che di solito significa cumino, ma che viene usata anche per i carvi (non molto utilizzati in India), per la nigella e per il seme della Plantago pupila: se non si hanno ragioni fondate per credere il contrario, nelle ricette di curry bisogna sempre supporre che questa parola significhi cumino; oltre a ciò, per ironia della sorte, i semi di cumino e quelli dei carvi si assomigliano molto, anche se l’aroma è del tutto diverso; occorre quindi fare molta attenzione perché una regola aurea è quella di non sostituire mai una spezia con un’altra, perché ciò significherebbe cambiare completamente il gusto del piatto.